Volevo ringraziare tutti per l’interessamento al post pubblicato su i social il 11 Gennaio u.s. “ L’ignoranza fa più danni dei lieviti e dei solfiti”. L’ ho scritto con impeto e personalmente non mi sarei mai aspettato di coinvolgere un pubblico così ampio quanto appassionato. Credo di aver toccato un tasto molto sensibile per cui sto preparando altri commenti a dei temi connessi ma solo sfiorati e che non era possibile inserire. Avrei dovuto scrivere un libro…!

Ho creduto giusto riunire, qui di seguito, alcuni commenti, positivi e negativi, tra i centinaia giunti attraverso la mia pagina e le ripubblicazioni. Mi è sembrato che i temi trattati assumano un maggiore approfondimento ed una migliore esposizione.

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1) Non trovi però che i lieviti selezionati abbiano favorito gli alcol molto elevati degli ultimi anni?
– R.) Non sono stati i lieviti la causa. Semmai se ne è fatto un maggior uso di quelli definiti con potere alcoligeno più basso o più specializzati. Lo sviluppo alcoolico elevato è stato causato dalle stagioni calde e dalla esasperata ricerca del raggiungimento delle maturità fenoliche da parte di alcuni produttori per cercare di addolcire i tannini.
I lieviti trasformano gli zuccheri che hanno a disposizione con una resa in alcool molto precisa. Di conseguenza il potenziale zuccheri alla vendemmia determina il grado alcoolico del vino. Un lievito indigeno potrebbe non avete le capacità di sviluppare tutto l’alcool perché esso è una tossina: ci sono lieviti più o meno resistenti all’alcool. Se tutti gli zuccheri non venissero svolti otterremo un vino dolce più o meno suscettibile di altre deviazioni durante la sua conservazione e certamente meno commerciale.
2) D’accordo, ma una volta si vendemmiava a concentrazioni zuccherine più basse per i timori dei blocchi di fermentazione. Mentre oggi con i lieviti selezionati gli alcol potenziali non sono più una minaccia
– Una volta si vendemmiava 30-40 giorni oltre le date medie di raccolta di questi ultimi anni perché il clima era diverso, i vigneti, intesi come tipo di impianto, densità di impianti, forme di allevamento, cloni, erano diversi. Infine il gusto era diverso. Quali sono i grandi vini rossi italiani che sono più di moda di questi tempi? Amarone, vino potente e con residuo dolce, Sagrantino, stesso stile. 30 anni fa qualcuno considerava il Sagrantino? No. Perché senza maturità fenolica spinta e residuo zuccherino non si berrebbe tanto è di tannini verdi e astringenti.
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1) Sono un piccolo vignaiolo , il cui lavoro va avanti dall’epoca di mio nonno , dopo aver per anni lavorato con l’aiuto di un enologo , mio caro amico , ho preso una direzione su vini , interamente prodotti dai miei vigneti , la fermentazione su buccia sia di rossi che di bianchi. vini non filtrati e senza solfiti aggiunti . ora , il punto a livello pratico è che per ottenere rifermentazioni in bottiglia i lieviti selezionati agivano con molta forza e con fermentazioni difficili da arrestare in particolare nei vini dolci … e quindi bisognava operare con metodi intensivi di filtrazione e raffreddamenti ( 0° o 2°) . Poi il gusto, totalmente diverso , essendo anni che li faccio ho notato una differenza di colori e sapori notevole , poi che piaccia in una maniera o nell’altra penso sia solo soggettiva , l’utilizzo in vigna di potenti veleni creano inevitabilmente il blocco fermentativo e quindi i lieviti selezionati sono d’obbligo per chi lavora nel convenzionale , e poi il grosso problema è il mercato , cioè i vini fatti diciamo con lieviti , chiarificazioni , solfiti ecc. ecc.. ecc.. si assomigliano tanto l’uno all’altro perchè si tolgono certe identità e quindi per vendere occorre fare la guerra dei prezzi , oltre ovviamente al discorso salutistico…. oggi sommelier , enologi ecc… sono i più ascoltati e spesso pende dalle loro labbra il giudizio di un vino , giudizio che spesso non è quello del bevitore medio , o della gente comune che vuole solo bersi un buon bicchiere senza tante menate di premi e giudizi , la vera cantina è la vigna e l’esperienza costruita nelle generazioni da un umile vignaiolo non so se può essere sostituita con facilità da enologi o critici in genere , diciamo che nel mercato c’è posto per tutti ma sconvolgere troppo la natura dei prodotti non mi convince .

– R.) Vede allora che ci troviamo quasi d’accordo? Da tecnico le dico che non condivido il suo operato ma lo rispetto. Non solo ma la ammiro perchè rischia il suo.
2) bhè certo è un confronto di pensieri , ma sicuramente il vino anche se naturale non deve presentare certi difetti , volatili , eccessi di acidità , e quel sapore di brett … che nenche io amo , è un equilibrio di sapori e profumi , io cerco questo , poi non sempre va bene…

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1) Approvo e diffondo, anche se penso che nessuno tra gli specialisti dell’ignoranza arrivi a leggere oltre la decima riga.
– R.) Infatti molti commenti lo dimostrano ma uno sfogo è difficile da contenere in poche righe.
2) Anche una spiegazione sensata non si può racchiudere in poche righe, capisco tutta la frustrazione. È la stessa che ho io quando mio arrivano in cantina persone piene di primo livello sommelier e iniziano con ” il vino buono si fa in vigna e l’enologo fa solo chimica” ” il vino se puzza vuol dire che è naturale”. Purtroppo è quello che gli spiegano al corso

– R.) Non tutti mi creda. Per esperienza conosco molti sommelier bravi e competenti. Sono più gli amatori dell’ultimo minuto che magari non curano nemmeno se stessi e poi criticano il prossimo per nascondere il proprio imbarazzo
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1) Complimenti per le utili riflessioni. Ad onor del vero, sebbene io non ne sono un difensore ed un grande estimatore, esistono produttori corretti che nel nome della biodinamica, del biologico e del naturale ottengono prodotti di tutto rispetto che nulla hanno da invidiare ai prodotti ottenuti convenzionalmente. Convengo comunque che è “arroganza professionale “ e poco rispetto per i consumatori fare passare il concetto che un difetto si trasformi in pregio o segno tipico del territorio.

– R.) Grazie. Ribadisco comunque che non sono contro i vini biodinamici. Lavoro per Aziende biologiche e biodinamiche ma c’è un limite a tutto.

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1) Giusto Umberto.. non dimentichiamo che L evoluzione naturale del mosto o vino in fin dei conti è L aceto …
– R.) Proprio cosi!
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1) Chi accetta i difetti è perché non li sa riconoscere : gusto e olfatto sono un dono, gusto anche come capacità di saper distinguere
– R.) Condivido pienamente.
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1) La cosa grave? …. Le cose gravi sono altre, …. Ad ognuno il proprio commento, libero , soggettivo … Ma essendo tecnico viticolo di prese per il culo ne vedo tante …. Ad esempio az. Vitiv. Che si spacciano per biodinamiche che comprano i superi di produzione da altre az che fanno difesa convenzionale …..
– R.) La sua puntualizzazione è giusta ma stiamo parlando delle solite pecore nere che, per fortuna, sono poche. Tutto si può dire ma sicuramente chi intraprende questa strada raramente lo fa per speculare ma perchè ci crede; per cui tendo a pensare che nel mondo ” Vini naturali” i disonesti sono molto rari. Il punto è che alcuni di loro tendono a immolarsi sull’altare puntando il dito sui convenzionali senza informarsi.
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1) Il problema fondamentale nella commercializzazione dei vini c.d. naturali è la stabilizzazione.

Risposta da altro Autore: Spesso l’amore verso certi produttori è reale e ben indirizzato, tuttavia altrettanto spesso questo amore viene in parte tradito sul fronte dell’affidabilità a favore del caso. Purtroppo con certi vini / metodi produttivi o si rinuncia alla sicurezza di un prodotto perfettamente integro o si rinuncia al prodotto. Ad oggi, considerata la distanza tra le varie posizioni, non sembra esserci una via di mezzo, quella del buon senso. Ho visto produttori vedere andare in aceto il proprio vino, borderline già a pochi mesi dalla vinificazione, solo per aver deciso scientemente di non procedere ad una piccola solfitazione di emergenza.

Risposta da altro Autore: Spesso il produttore naturale ne fa una questione di rispetto e di coerenza ma quand’è che il rispetto e la coerenza entrano in conflitto con gli interessi del consumatore? L’approccio integralista di solito fa male sia al produttore che al suo estimatore. Già il rischio calcolato non sarebbe ammissibile, figuriamoci quello non calcolato.

Il problema più grande è che normalmente a confutazione delle tesi sopra indicate, il produttore naturale porta la “vitalità” del vino come moneta di scambio per questo rischio più o meno calcolato e pare che al fondo una soluzione precisa (ancora) non ci sia se non quella di accettare o di astenersi.
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1) Umberto Grazie a te.. il tuo post è veramente chiaro, competente e appassionato… speriamo che qualcuno che pensa di “sapere tutto” lo legga con attenzione e capisca che il bello di amare il mondo del vino è anche, e soprattutto, che non si finisce mai di conoscere e di imparare..
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1) Per me la Sua analisi è giustissima, da appassionata, ma non da operatrice del settore. Mi piacerebbe però, per la corretta trasparenza del mercato, venisse introdotto l’obbligo di esporre sulle bottiglie l’elenco degli ingredienti, come previsto per tutti i prodotti alimentari. Allora sì potremo avere coscienza di chi lavora bene e chi male. Perchè è vero che, come scrive, “il vino deve essere considerato in tutte le sue varianti qualitative e commerciali”, ma il consumatore non ha modo di difendersi da chi invece non agisce così correttamente come Lei fa sembrare sia per tutti i produttori indistintamente. Si riferisce anche al vino in brick o a quei vini spacciati per tali, che sono solo zuccheri e coloranti? Sembra quasi stia dicendo che ogni produttore a tutti i livelli abbia il diritto di esistere. Io invece penso di no, perchè si sta comunque parlando di un prodotto alimentare ed è giusto ci sia trasparenza e una conseguente selezione naturale. Ma alla cieca è complicato.
– R.) Premesso che anche i vini in brick sono ottenuti dalla vinificazione delle uve, le posso dire che non li bevo, non li produco e non mi piacciono. Ciò non toglie che anche loro abbiano un loro “perché” sul mercato. Per quanto riguarda le diciture in etichetta arriveremo a dichiarare tutto ciò che è aggiunto ma stia attenta Eleonora in quanto dobbiamo fare il distinguo tra i coadiuvanti e gli additivi: c’è una sostanziale differenza.
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1) Un difetto rimane un difetto qualsiasi sia il modello culturale/tecnologico seguito. Ottimi argomenti. Mi dispiace che tu sia caduto nel tranello della semplice birra…
– R. ) L’arte del gusto è una cosa complessa. Pensare che birra e vino siano due bevande diverse è giusto ma non considerarli sullo stesso piano commerciale per tendenze di consumo è semplicistico.
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1) Ma finalmente, finalmente qualcuno che abbia spiegato come funziona il discorso LIEVITI. Conosco decine di artigiani del vino che utilizzano lieviti selezionati (mi dicono specialmente di ceppi francesi di borgogna) e che sfornano capolavori di territorialità. Capisco anche che, sì, esistono lieviti ‘studiati’ per esaltare profumi un po’ piacioni, e quei vini si riconoscono facilmente, ma molti lieviti sono assolutamente neutri, e su questo c’è ancora tanta ignoranza…

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1) In merito ai lieviti, se non bastasse, porto un esempio, non è l’unico che conosco: quel grande vino rosso che è il Rosso Cavariola Riserva di Bruno Verdi, oltrepo pavese, è prodotto con lieviti indigeni di cantina dall’annata 2012. Avendolo assaggiato dal 2009 in poi, vi garantisco che al gusto e all’olfatto il vino è sempre quello, stessa identica timbrica, stesso vino. Lieviti selezionati ante-2012, poi indigeni … Anche a detta del produttore, il cambio non è stato dettato da motivo qualitativo o di genuinità, bensì da una semplice decisione, come una sfida personale aperta a provare e sperimentare. Ma il vino buonissimo era e buonissimo rimane!
– R.) Mi fa piacere. Non ho detto i lieviti indigeni rovinano i vini. Ho detto che i lieviti che sostano nelle cantine sono sempre lieviti che, anziché essere selezionati in un fermentatore, si sono auto selezionati. Sempre quelli sono!
– Risposta da altro Autore: Si capisce dopo 3 righe che la relazione redatta dall’Enologo Umberto Trombelli è pregevole, un misto di competenza e cultura in materia.
Dico così, da appassionato di vini che ha frequentato vari corsi, perché durante uno di questi il relatore ci ha fatto assaggiare per 2/3 lezioni, vini bio dinamici e biologici e dal colore aranciato… Vi risparmio i commenti ma posso solo dare ragione da vendere all’Enologo Trombelli, al quale faccio i miei complimenti anche per la serietà con cui compie il suo lavoro…
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1) Condivido in parte. Con competenza ed esperienza si può fare vino buono senza difetti senza lieviti selezionati senza coadiuvanti solforosa bassissima e(20 mg) … occorre concentrarsi su uva e igiene … più impegnativo certo .. e vorrei dire che conosco molti produttori di vino naturale senz’altro bravi e competenti spesso enologi di grande spessore.
– Forse le è sfuggito qualcosa del lungo articolo perchè ho detto le stesse cose. Magari con solfiti entro i 40 mg ma tutto dipende dai casi. Non esistono ricette ed è per questo che esiste l’Enologia e gli Enologi. Poi gli estremi esistono in tutti i campi ma ciò non vuol dire che si debba condannare tutti per l’errore di pochi.
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1) Condivisibile dal punto di vista dell’enologo ma anche no dal punto di vista di alcuni vignaioli produttori. Soprattutto la frase “….si possono produrre ma con un risultato qualitativo privo di personalitá”. Una balla. La personalità un vino la esprime solo ed esclusivamente senza coadiuvanti che invece lo omologano al volere o potere dell’enologo o del mercato.
Spesso si sente dire bevendo un vino: chi é il tuo enologo?
È tal dei tali.
Lo immaginavo. I suoi vini sono tutti uguali.
Il terroir lo esprime il vino non i coadiuvanti.
– R.) Veda lei…io credo lei si voglia autolimitare usando luoghi comuni per giustificare le sue convinzioni.
2) Mi scusi tanto ma vale il suo punto di vista come il mio. Dopo 45 vendemmie in campo e in cantina penso di sapere qualcosa al proposito avendo lavorato sempre in prima persona e rischiando del mio. A buon intenditore poche parole.
– R.) Le vorrei far notare che sta generalizzando. Un vino esprime personalità valorizzando il terroire. I coadiuvanti sono un mezzo che, usato con cognizione di causa, accresce la personalità. Lei prende chi esagera nel loro uso facendo di ogni erba un fascio.
3) Non credo di esagerare ne di generalizzare.
Io ho scritto che il terroire lo esprime un vino senza coadiuvanti mentre lei mi dice che un terroire si valorizza con i coadiuvanti.
Siamo molto lontani come idee.
Gli estremi non sono proprio il mio caso e chi mi conosce lo sa benissimo in quanto nei miei vini si ritrova molto della mia personalità.
Ci sono vini migliori: si.
Ci sono vini peggiori: si.
I miei vini sono diversi e credo che esprimano molto del mio terroire e non hanno bisogno di coadiuvanti per migliorarlo.
Altri vini evidentemente si.
Che si continui pure ad usarli ma che siano essenziali a prescindere a me non la può raccontare.

– R.) Non gliela voglio raccontare. Lei ha le sue idee ma pensa anche che siano legge. Ho detto che il terroire si può esaltare con i coadiuvanti perchè permettono di ovviare ai difetti e non che si valorizza con. Comunque è difficile esprimere certi concetti in poche righe. Sono sicuro che lei fa un ottimo lavoro, lo si vede dalla sua passione. Un rispettoso saluto
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1) Da aspirante sommelier non posso che condividere il pensiero. Da biologa/micologa devo sottolineare che il Saccharomyces cerevisiae non è un fungo appartenente al mondo vegetale, ma un fungo appartenente al mondo dei funghi!
– Lei ha ragione ma le ricordo che il mondo dei funghi è stato classificato nuovamente come regno a sé stante da non molti anni. Quindi, visto che non sono un ragazzino, mi perdonerà se ancora ragiono con la vecchia classificazione
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1) Non sono un addetto ai lavori, ma ho venduto vino all’estero e quest’uomo ha esposto una riflessione importantissima non solo per chi produce, anche per chi commercializza. Anche loro devono arricchire le loro competenze, è un criterio che alla lunga paga e si riflette come onda di ritorno anche, sulle inclinazioni di investimento, in direzione della qualità del prodotto anche da media distribuzione.
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1) Scritto bene e con molta competenza. Non recepito… perché leggo nei commenti che “la tecnologia” banalizza il gusto.?. No, la tecnologia usata male, il legno, la trascuratezza mascherata da originalità banalizzano e distorcono il gusto. Anche l’uso scorretto di coadiuvanti ed additivi per carità… ma demonizzare la scienza enologica per far mercato non porterà lontano.
Autore
1) Perchè i lieviti non vanno bene? Grazie
– Risposta da altro Autore come nn vanno bene? qui si dice giustamente il contrario

2) Bene , non ho letto tutto. Io li uso e ho ottimi risultati . prima il vino bolliva anche 30 gg

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