Chi dà il gusto al vino?
Come Enologo non riesco proprio a farmene una ragione. Perché si condannano senza appello i lieviti selezionati? Sarà forse il termine “Selezionati” che li rende poco simpatici? Proviamo allora a chiamarli semplicemente lieviti.
I lieviti sono esseri viventi, si nutrono di zuccheri semplici, come quelli del succo d’uva, o di zuccheri composti, come quelli contenuti nelle farine o nelle cotte della birra, generando un processo fermentativo basilare per il settore alimentare. Tutto ciò che è lievitato o fermentato da lieviti come vino, birra, pane e dolci lievitati, è un prodotto “Naturale”. Ne consegue che non ci sarebbe nulla da obiettare nell’apprezzarne l’uso in Enologia ma c’è, invece, chi non lo crede. Il pensare comune, oltre a ritenerli innaturali, li ritiene capaci di personalizzare i vini secondo un gusto specifico; per contro, indurre il processo fermentativo spontaneamente preserverebbe l’autenticità di un vino. Altra teoria, più estrema, sostiene che un vino prodotto facendo fermentare i mosti con i lieviti indigeni, eventualmente presenti sulle bucce dell’uva o nel terreno, sarebbe la reale espressione di un terroir.
Il terroir di un vino, mi dispiace sfatare un mito, è detenuto dalle proprietà e dal sapore delle uve coltivate in quel particolare territorio perché sono i vigneti, di quel particolare sistema pedoclimatico, ad essere unici. Se così non fosse non avremmo tutte quelle varietà di vite, autoctone o internazionali, differenti le une dalle altre a seconda delle zone e non avremmo, quindi, la moltitudine di Denominazioni di vini esistenti.
I lieviti che fermentano gli zuccheri del succo di uva prima di tutto non sono stanziali, cioè specifici di un determinato territorio: si spostano, viaggiano, vivono secondo le leggi della Natura! Sulle uve sane o nel terreno non sono presenti in quantità così rilevante da promuovere una fermentazione alcoolica, come invece molti pensano. I lieviti sono nell’aria che respiriamo,fluttuano, sostano in ambienti vari vivendo in quiescenza e in attesa di trovare un ambiente favorevole per riprodursi e nutrirsi. Una volta trovate le condizioni di vita ottimali si riproducono velocemente avviando il loro ciclo vitale. L’alcool è un sottoprodotto del loro metabolismo e quando questo raggiunge concentrazioni insopportabili, muoiono, depositandosi al fondo dei vasi vinari. Quando si porta in cantina l’uva, la si pigia, si riempiono i tini e si avvia la fermentazione; essa,senza aggiunte, principia dopo qualche giorno ad opera di lieviti già presenti nelle cantine, più che sulle uve. Durante questa attesa, altre specie di lieviti e anche batteri, si riproducono nel mosto metabolizzando parte degli zuccheri presenti e producendo, molto spesso, sostanze poco qualificanti. Il lievito selezionato commerciale ha questo compito primario: avviare velocemente la fermentazione alcoolica sviluppando in poche ore una quantità di alcool sufficiente ad inibire quei lieviti indesiderati, ottenendo vini più sani e più facilmente conservabili; fatto questo molto importante perché si possono così ridurre i conservanti! Comunque sia, la cantina non è un laboratorio asettico e sigillato, per cui, una volta inoculato, il lievito selezionato non diventa l’unico agente fermentante. Il processo fermentativo ha una sua fase tumultuosa dove domina un lievito ed una fase terminale dove altri lieviti subentrano nel ciclo. Sfatiamo un altro mito: non esiste una fermentazione condotta in totale purezza!
Personalmente ho sperimentato, per più vendemmie, l’uso sia dei lieviti selezionati e sia inducendo la fermentazione spontanea: in realtà, non ci sono differenze organolettiche sostanziali tra i due sistemi a patto, però, che si operino controlli continui e costanti; è la percentuale di buona riuscita delle fermentazioni che fa la differenza!
Così, almeno, è come intendo io il vino: adotto la tecnica dell’inoculo graduale, detto anche del piede di fermentazione; su una piccola quantità di mosto(qualche centinaio di litri) si procede con una modica aggiunta di lieviti selezionati che si lasciano riprodurre in modo adeguato utilizzando poi questo piede attivo in proporzione su vasche di mosto molto grandi: è un metodo simile a quello del lievito madre nella panificazione. Tale procedura permette di ottenere vini con ottimi risultati qualitativi, senza esagerare nell’uso di coadiuvanti e lavorando con una buona sicurezza tecnologica. Al contrario, quando si lavora con le fermentazioni indotte naturalmente si ottiene, mediamente, un 10-15% di vasche con caratteri organolettici “ Deviati”. La loro gestione obbliga poi ad utilizzare più additivi e correttivi (oppure a lasciare i vini a maturare così pensando che tutto fa “Tipico”). Il restante 85-90% poi, non è certo meglio dei vini ottenuti da lieviti selezionati, non ha una personalità più marcata. In pratica un pugnetto di lieviti selezionati ( 100 grammi)è sufficiente per controllare la fermentazione di una grossa quantità di mosto( 3000 litri): 1 grammo ogni 30 litri che, rapportato in peso, equivale a 1 grammo di sostanze vive e naturali su 30.000 grammi di mosto.
Il rame usato per la lotta alle malattie fungine della vite è oggetto di studi nel tentativo di diminuirne sempre di più le dosi massime utilizzabili ma resta il fatto che è tossico e si deposita nei terreni dei nostri vigneti: forse, se ci preoccupassimo di più di questo problema e meno di quanto incidano i lieviti nel gusto del vino, troveremmo qualche alternativa utile a migliorare la nostra salute.
Le specie di lievito esistenti in Natura sono in numero incalcolabile ed ognuna di esse si comporta in modo diverso. Le Aziende che producono e commercializzano lieviti selezionati non fanno altro che ricercare, isolare e studiare nuove specie selezionando quelle che mostrano caratteri utili per i processi fermentativi e offrendoli sul mercato. Il loro uso deve essere sempre visto come utile mezzo per ottenere un vino; sta nella capacità di chi ne fa uso saperli dosare nei modi appropriati, senza eccessi.