
Siamo al giorno 39° dall’inizio dell’era covid -19 in Italia; da più di un mese stiamo combattendo una pandemia che non ci aspettavamo e che non pensavamo fosse possibile avvenisse; siamo pressoché obbligati in casa nel tentativo di contenere un virus infido.
Inoperosi ci poniamo mille domande: come cambierà il nostro modo di vivere, di lavorare, di socializzare?
Che cosa dire, cosa pensare! Sto cercando di fare delle considerazioni su cosa dovrebbe insegnarci un evento del genere e cosa dovremmo fare per reagire alla crisi economica che ne è scaturita e di cui ancora non conosciamo la reale entità.
Provo a fare delle ipotesi:
Come sempre, nelle difficoltà, gli Italiani ritrovano senso di appartenenza e di identità. Al di là delle polemiche che ci contraddistinguono riusciamo a ritrovarci più solidali e uniti; per cui, mi chiedo: perché non sfruttare questo sentimento? Diamo vita ad nuovo “Risorgimento” del vino italiano, ma non solo, di tutto il made in Italy. Sfruttiamo questo momento per eliminare tutte le barriere campaniliste che ci caratterizzano, la diatriba infinita tra regioni diverse, tra paesi e paesi e costruiamo una nuova idea del nostro Paese. Raccogliamo le nostre territorialità sotto un’unica grande denominazione italiana, riconoscibile e inviolabile, identifichiamole prima come italiane e poi per le sottozone relative.
Pensiamo a come dare lavoro ai tanti disoccupati che avremo, più di quanti non ne abbiamo mai avuti. Molti di essi vivono nelle città e hanno bisogno di sussistenza; per contro, le nostre campagne si sono svuotate e le aziende agricole non hanno più la disponibilità della manodopera che arrivava dall’estero.
Tra poco l’annata agraria entrerà nel pieno, il presente necessita di manodopera nel comparto frutticolo e gli agricoltori non sanno come fare. Nei vigneti chi provvederà alle operazioni di potatura verde senza le squadre di operai stranieri che svolgevano quelle mansioni? Perché molti non se ne rendono conto ma li abbiamo abbandonati i posti di lavoro, nessuno ce li ha rubati!
Dobbiamo ricostruire e valorizzare il settore primario, per offrire lavoro a chi non lo ha più e non lo troverà più nell’industria e nei servizi. Certamente è fondamentale che si dia maggiore dignità al lavoro agricolo e che si permetta a tutta la filiera di poter vivere degnamente, perchè il lavoro del contadino, non si deve considerare denigrante, ma una virtù e un privilegio; è sicuramente una fatica e un sacrificio a cui molti non erano più disposti ad affrontare ma rimane pur sempre una grande libertà. Con gli opportuni incentivi può diventare un ottimo investimento per il futuro delle nuove generazioni.
Le nostre politiche agricole dovranno essere coordinate da persone preparate, del settore specifico, coinvolgendo il settore turistico e culturale e dovranno diventare prioritarie per lo sviluppo del nostro Paese. Andranno difese, autorizzate e sostenute in Europa, come Patrimonio universale senza sacrificarle come “Moneta di scambio” a favore di altri comparti produttivi o a favore degli interessi economici dei partners. Ricordiamoci che l’Enoturismo si è bloccato e non sappiamo quando potremo ricostruire quello che era; non sappiamo quando avremo flussi turistici nel nostro Paese.
E’ necessario che si identifichi un Ente governativo che si occupi seriamente, in modo equo e programmatico delle attività di promozione: dovrebbero essere valide per tutti e poi distinte per singolo territorio ma sotto un’unica bandiera riconoscibile, che gestisca le risorse economiche a disposizione in investimenti che valorizzino un progetto chiaro, fermo e italiano. I nostri marchi, i nostri prodotti e i nostri territori devono essere gestiti attraverso un “Sistema Italia”.
Per una volta tanto guardiamo con senso costruttivo i francesi. Li devo obbligatoriamente citare come metro di paragone, perché li consideriamo sempre con un distacco ostile e non valutiamo seriamente ciò che rappresentano nel settore vitivinicolo come in tutto il sistema di promozione e valorizzazione della loro cultura e della loro tradizione. Sono leader in questo, hanno uno spirito nazionalista che difende il loro stato dell’arte, che sa promuovere i vini, la cucina e le tradizioni. Sono capaci di investire in ricerca e sviluppo. Una regola economica basilare dice che nel Mercato ci sono le aziende pilota a cui le altre si allineano per seguirne il moto. Allora dobbiamo solo prendere esempio e provare a ritornare noi ad essere un’Azienda pilota.
Dimostriamo con i fatti ciò che siamo capaci di offrire: quando torneremo alla vita sociale di sempre sarà fondamentale uscire velocemente da una crisi economica che si prospetta devastante.
Il “ Made in Italy” è l’unica carta che abbiamo da giocare. Tutto il mondo lo conosce e questo è un valore aggiunto. Proteggiamolo e coltiviamolo dalla base e tutti insieme. Pensiamo ad un’unica e grande enoteca, la più grande di tutte, che contenga tutti i nostri vini: unici, singolari e variegati. Rendiamola attraente e non confusionaria. Rendiamola ricca e attraente con la nostra cultura. Recupereremo e acquisiremo nuova clientela. I consumatori di vino ci sono sempre, non sono spariti con il coronavirus. Dovremo trovare nuove forme di collegamento per raggiungerli, dovremo sviluppare nuovi sistemi comunicativi utilizzando il web ma ce la faremo se saremo uniti. Non possiamo pensare che il singolo produttore riesca nell’intento.
Umberto Trombelli